14/01/2017 | Corriere della Sera – LINK
La formula verrà replicata a Cremona e Verona: stesse finalità sociali e stesse modalità Il filo rosso dell’arte è la strategia caratteristica del «femminile» da Arianna in poi.
Arte relazionale, basta pronunciare queste due parole per veder passare negli occhi degli interlocutori un interrogativo, la ricerca dall’immagine corrispondente alle parole. Ora, per moltissime persone l’immagine che emerge è quella di VivaVittoria. La nostra meravigliosa Piazza Vittoria (Brescia) attraversata da un tratto di DNA coloratissimo, migliaia di cellule aggregate da un filo rosso. Anche se questa immagine è solo l’aspetto estetico figurativo rappresentativo di ciò che è avvenuto, l’evidenza è che, qualcosa che avrebbe potuto sembrare persino cacofonico nella molteplicità espressiva, intrisa del suo valore ha invece prodotto una bellezza evidente agli occhi di tutti, ha prodotto meraviglia.
Giorno dopo giorno ho aggregato quattro persone, quattro 50×50, con un concetto di diversità come valore e il filo rosso che ho scelto di usare per unirle è il filo rosso dell’arte come della strategia del femminile da Arianna in poi. Il filo dell’arte relazionale, questa possibilità di costruire un Noi. Per raccontare una nuova storia, su quello straordinario libro della storia dell’arte e quindi dell’umanità, abbiamo cominciato, come ogni bambino, prima a disegnare che a scrivere, poi il disegno è diventato segno e tutte le forme che abbiamo potuto immaginare con una funzione nel nostro quotidiano.
Il nostro corpo e la natura tutta ci dicono che tutto esiste in «funzione di», cessata la funzione tutto si atrofizza e cessa di esistere. Gli artisti, dalle caverne in poi, hanno avuto una loro funzione, dalla rappresentazione all’immaginazione passando per il magico e il divino, raccontando il passato, celebrando il presente e immaginando il futuro, dando forma condi/visibile al non ancora conosciuto.
Con il tempo il concetto di arte come bellezza si è ampliato e siamo arrivati al concetto di bellezza della società stessa. Joseph Beuys ci ha portato il concetto di scultura sociale. Marina Abramovic ha spostato definitivamente il concetto di arte dall’oggetto all’umano stesso. VivaVittoria è in questo solco, con un ulteriore spostamento, non solo sciamanici artisti, ma ognuno di noi, con ciò che abbiamo, dalle nostre differenze come valore, che, con ogni nostro pensare-agire, diamo forma alla nostra vita e al nostro intorno, diamo forma alla «scultura sociale».
La ricerca della bellezza e comprensione reciproca necessarie al dare forma ad una società più bella, non nella sua sola esteriorità/estetica, ma nella sua interiorità/etica. Quella bellezza singola data dalla consapevolezza del proprio valore come dalle proprie responsabilità.
Chi decide della mia vita? Una domanda per tutti, donne e uomini, la violenza sulle donne è un problema di tutti noi, è certo. VivaVittoria ha voluto essere un’opera rivolta al femminile, è vero. Perché credo che il cambiamento per noi cominci da noi, nel riconoscerci il valore che abbiamo, non nasciamo vittime ma, come ogni essere umano, artefici del nostro destino, qui, ora, con gli strumenti che abbiamo da sempre, con le possibilità che abbiamo oggi. E lo possiamo fare per noi e per tutte coloro che ancora non hanno diritto di parola e di scelta.
Quest’opera ha avuto inizio grazie al lavoro di tanti artisti prima di me e non finirà alla disgregazione della materia, ma continuerà crescendo in ognuno di coloro che hanno partecipato, visto e conosciuto. È quindi fondamentale l’uso delle parole, le parole danno forma. Se cambi le parole cambi storia. Viva Vittoria è un’opera d’arte relazionale: la «bellezza» l’abbiamo vista, e non parlo della piazza o della coperta, ma degli occhi di tutte le persone che abbiamo incontrato nel momento in cui hanno capito che stavano non partecipando, bensì costruendo qualcosa di nuovo per sé e per tutti. La sua «bontà» l’abbiamo vista nella magnanimità del dono di tutti, da chi ci ha donato la lana, chi il lavoro grafico, chi il tempo, chi le mani e il cuore per cucire.
La sua «utilità» non solo nel concreto contributo alla Dimora per avviare progetti di autosufficienza delle donne , ma nell’incontro di tante che forse non si sarebbero mai incrociate, incontro che ha permesso lo scambio di visioni, di vita e di possibilità.
Ora VivaVittoria sarà a Cremona e Verona, io sarò lì, seguirò la mia opera ovunque verrà accolta, ogni volta da capo perché VivaVittoria non è una coperta, né beneficenza né «Altro», ma consapevolezza e possibilità da condividere per costruire nuove possibilità di vita. In quanto autrice ne ho la maternità e quindi la responsabilità: mi metterò a disposizione di tutte le donne che vorranno poi a loro volta condividere.
Ci sarò con tutte coloro che vorranno costruire un «noi». Qualcosa che non sia solo mio né solo vostro, ma nostro. Proposte positive rispetto all’esistente.